Non è la prima volta che il cinema americano si china sui retroscena della politica, anche di quella più glamour. Regista di grande qualità e intelligenza, oltre che attore di raffinata sensibilità e non solo di charme, George Clooney non poteva mancare di graffiare con la propria visione estetica il cinismo, i ricatti, le manipolazioni che si celano dietro le grandi operazioni politiche del proprio Paese.

Qui si tratta delle primarie del Partito Democratico, delle scadenze decisive che si giocano nell'Ohio. Ma è chiaro (ed è uno dei grandi meriti di questo suo quarto film come regista) che non si tratta di una cronaca; ma di una riflessione allargata. La lealtà, il tradimento, la coerenza etica sono infatti alla base delle vicissitudini che toccano il governatore in corso (Clooney), il proprio ghost writer (anima portante del film, Ryan Gosling, eccolo il grande attore di domani), i direttori di campagna avversari (Philip Seymour Hoffman e Paul Giamatti, al solito di eccelsa levatura), la giovane apprendista che farà scattare il dramma (ottima esordiente, Evan Rachel Wood). Mentre la proiezione sul presente (altra peculiarità non indifferente del film) è assicurata da una splendida sceneggiatura. Che ancora la visione nei sedimenti che abbiamo tutti in memoria del mitico assassinio di Giulio Cesare; che non solo ci rinvia a Obama, Clinton o magari Strauss Kahn, ma che soprattutto intrisa da uno scetticismo, permeata da una malinconica disillusione. Chiave dei tempi, e non solo del film.

E' la perdita delle illusioni, che Clooney tesse con finezza estrema , nella meccanica magistrale di una progressione organizzata su un montaggio impeccabile, una regia essenziale, secca, mai ornamentale. E una direzione d'attori che li proietta tutti, dico bene tutti, alla candidature dei prossimi Oscar.